
“Tempus fugit”, il tempo fugge. E io che avverto un ribollire incandescente di vita sotto il costato cerco di correre più in fretta per raggiungerlo. Non è vero che “c’è tempo”, ciò che lasci dietro di te semplicemente lo perdi. Non ci sono due occasioni per nascere e non ve ne sono per morire. Dopo otto mesi di quarantena — sì, perché la mia reclusione non é durata soltanto il tempo del lockdown, bensì da ottobre 2019 a causa dei postumi di una influenza ad oggi — per la prima volta ho deciso di spingermi oltre il perimetro rassicurante del quartiere in cui vivo. Ho scelto un luogo all’aperto, in cui bere un tè nero freddo con fichi e mandorle –Il Mistero di Venere. Un tè dal sapore nostalgico delle estati in cui osservavo la notte scendere sul Po nel fragore della fiumana e del mio cuore innamorato. Non è vero che “abbiamo tutto il tempo che vogliamo di fronte a noi”. No, non è vero. E questa epidemia nella quale io mi sento ancora invischiata come un soldato che avanza carponi nel fango per eludere il nemico, ce lo ha dimostrato. Avevo sete di vita anche prima del Covid19, e volevo ingurgitarne taniche intere senza prendere fiato. Ma ora quella sete si è fatta più urgente, è più di un bisogno fisiologico: è un atto d’amore. Bere tutta la vita che riesco per dare al mio corpo e al mio spirito un significato esistenziale che vada ben oltre il semplice essere al mondo.