


Oggi è la Giornata Internazionale della Disabilità. Una giornata che sicuramente fa riflettere molti di noi.
Personalmente, più che ai traguardi da raggiungere — tanti, tediosi, urgenti — la celebrazione odierna mi porta a pensare alle numerose mete raggiunte nel corso degli anni. In particolare, a quelle linee d’arrivo che non avrei mai scommesso di poter varcare.
A quelle dello scorso ottobre, ancora umide di lacrime; a quelle che mi hanno letteralmente sollevata dall’ostile convinzione che solo le braccia di mio padre potessero alzarmi dal letto e sedermi in carrozzina. E che mi hanno insegnato a fidarmi delle mani altrui e ad affidarmi a esse con leggerezza di piuma: un volo perpendicolare alle mie paure più castranti e minacciose, sostenuta dall’imbragatura del sollevatore elettrico come in una parabola aerea: decollo, trasvolata, atterraggio.
Ora so che posso dipendere più da me stessa e meno dagli altri.
Questo non significa che in futuro non avrò più bisogno di assistenti, ma che potrò essere più libera con il loro aiuto.
Ecco, la ricorrenza odierna voglio dedicarla alle due giovanissime donne che hanno trascorso con me questo periodo, accettando di scendere a compromessi con la loro libertà in virtù dei più lunghi e faticosi turni di lavoro. E che hanno scelto personalmente di sacrificare la loro vita familiare per permettere a me di abituarmi a questa nuova esistenza di uccello adulto, pronto a spiccare il volo.
Alhamdulillah, miei preziosi gigli del deserto.