Ci sono momenti in cui, reclusa tra le mura domestiche, pare che la mia vita non sia tanto diversa da quella vissuta finora. Da molti anni limito le mie uscite alla bella stagione — giorni intensi come stelle giganti rosse da cui origina un forte vento stellare che strappa loro gran parte della massa in breve tempo, consumandole.
Ma poi ci sono giorni in cui mi soffermo a pensare a tutto ciò che prima, pur con notevoli precauzioni, potevo fare. A ciò che fino all’alba dell’autunno ho fatto, complice l’estate e la sensazione riflessa che tutto sarebbe andato bene. Pur in piena pandemia.
E sapete che cosa mi manca più di ogni altra cosa? La carnalità. Quell’impudicizia sanguigna che è sempre stata materia di studio per quella parte di me avida di sensazioni; cibo per quell’altra dal piglio cannibale; oblio, finanche, per quella terza parte che cerca l’amore sotto il frastuono delle guerra per fingere che la morte sia lontana.
Qualche mese fa pensavo che la pandemia assomigliasse a una guerra. Ora so che non è così. In mezzo alle detonazioni degli ordigni bellici, sotto il sibilo dei raid aerei puoi sentire il calore della pelle di uno sconosciuto penetrarti fin dentro le viscere per ricordarti che sei ancora viva. Ora no. Ora sono proibiti gli abbracci, il succhiarsi l’anima l’uno con l’altro, il leccarsi come animali che han bisogno di affetto. Sono proibiti gli incontri alla luce debole del tramonto, le strette di mano, il respiro ferino che odora, riconosce e nutre lo spirito. Non è simile a una guerra. No, non lo è. Questa distanza che, ragionevolmente, ci è stata imposta è un attacco alla bestia che vive in noi. Non vuole ammansirla, bensì ridurla pelle e ossa, affamarla fino a renderla feroce e incontenibile.
Perché un giorno, stremata e con l’unico obiettivo di nutrirsi, getterà via la maschera che la protegge e affonderà le fauci sulla bocca di un estraneo, ne cercherà la lingua insieme all’anima. Un giorno si strapperà di dosso le vesti e aprirà il proprio ventre a carni sconosciute. Quel giorno, il bisogno di sfamarsi sarà più forte della paura del contagio. E questo non verrà punito come colpa, ma rispettato come legge biologica.