Un cervello “molotov” – 10 agosto

Si dice che persone sottoposte a forte pressione vadano incontro al burn-out, ossia al fenomeno in cui si va letteralmente in tilt a causa dello stress. Una sorta di campanello che esplode in faccia al visitatore, un lampione che prende fuoco e con effetto domino incendia tutti gli altri finché il quartiere avvampa come un falò estivo.

Ecco, oggi è successo a me: sono deflagrata e ho incenerito i volti costernati dei presenti. Gli impegni incessanti, il caldo afoso, il ronzio del ventilatore, la routine della penombra strategica per tenere fuori il caldo riparandosi dal sole, delle abluzioni rituali per rinfrescare momentaneamente la pelle prima di avvertire un caldo ancor più intenso, e quella dei piatti freddi consumati dentro un forno crematorio con l’illusione di poterne fare una sala da pranzo, sono stati la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Le radici del malessere son ben più profonde e arcigne come grinfie di suocere pedanti e insidiose. Tuttavia, non ve ne parlerò adesso.

Oggi voglio solo mostrarvi quel lato umano che spesso a noi, individui con gravi disabilità, tocca nascondere dietro un bel sorriso per fare star meglio chi, leggendo, sente di aver trovato chi sta peggio di lui e che tuttavia non perde mai la forza. No, non è onesto darvela a bere (in verità, non ci ho mai nemmeno provato).

Anche io perdo la forza e stasera ci ho rimesso anche una fetta di testa. Capita, tutto qui. Capita a tutti. Anche a noi, creature sfigate eppur piene di voglia di vivere.

Chi non conosce il termine “abilismo” e il significato sotteso, probabilmente si starà grattando la testa con aria paternalistica e penserà tra sé che se la mens è sana in corpore sano, è naturale che in corpore storpio la mente accusi qualche disturbo. Ma chissenefrega! Stasera sono detonata come un ordigno nucleare e ho infranto vetri, sventrato casa, fatto esplodere il tetto — tegola dopo tegola — frantumato ogni piastrella, polverizzato le porte.

E voglio raccontarvelo perché, ben lontana dall’essere perfetta, non sono altro che una donna con una disabilità grave e un cervello frizzante, pieno di idee e, talvolta, gonfio di paturnie ormonali e aneliti d’oblio. Un cervello “molotov” ad alto rischio di innesco.

Disability Pride – 9 luglio

Oggi voglio spendere due parole sul Disability Pride, ossia il movimento internazionale in cui si rivendica la fierezza della disabilità e più ampiamente si promuovono i diritti civili delle persone disabili. Vorrei raccontarvi che cos’è, per me, il #disabilitypride. In primis, non sono orgogliosa di avere una disabilità. Sono semmai fiera di aver saputo trarre degli insegnamenti dalla mia disabilità — non sempre cinici e castranti, quale ad esempio la consapevolezza che il mondo non ci accoglie proprio a braccia aperte — ma anche costruttivi e motivazionali. Sono fiera, ad esempio, di aver saputo compensare le perdite subite negli anni con strategie via via sempre più affinate e complesse. Ho imparato a truccarmi usando il solo braccio destro e conferendo al sinistro il ruolo di leva, di sostegno per l’altro — debole anch’esso ma ancora in grado di compiere gesti minuziosi se aiutato. Ma ho anche imparato a insegnare ad altri a truccarmi laddove le braccia sfiancate non riescano a farlo. Ho imparato a perseguire ciò che desidero e che mi fa star bene, a discapito di ciò che dovrei/sarebbe più giusto fare. Mi sono liberata dalle sovrastrutture del senso di colpa originario e con un rinnovato slancio verso la libertà ho imparato a muovermi tra la gente, riconoscendone la generosità e l’intelligenza ed eludendone l’ostilità e la grettezza. Sono orgogliosa di aver saputo fare di necessità virtù, di aver ben chiari nella mente i miei bisogni e il modo per soddisfarli. E sono altresì fiera di essere consapevole che vi sono zone d’ombra nell’intimità del mio spirito sulle quali ancora non riesco a fare chiarezza. Ad esempio, l’insicurezza e il blocco psicologico nel farmi assistere in taluni bisogni fisiologici (fare la cacca, per intenderci), sui quali tuttavia sto lavorando. Sono orgogliosa di essere quella che sono, NON nonostante là disabilità ma grazie alla disabilità.