Instagram vs real life – 8 luglio

C’è una Tania che diplomaticamente sfoggia davanti alle labbra un macaron alla menta, con una severità regale che solo una tazza di tè retta tra il pollice e l’indice e con il medio piegato sotto per tenerla ferma può equiparare.

E poi c’è una Tania decisamente più carnale che mal sopporta l’attesa dello scatto fotografico, triturata com’è da una fame millenaria che la spinge ad avventarsi sul dolce come una iena sulla carcassa di uno gnu. Una Tania che finisce con l’ingurgitare il dolcetto con tutta la crema, le briciole e anche le prime falangi della mano che lo sorregge. E che si sporca, labbra, viso, mani, e soprattutto il top fresco di lavaggio, mentre con occhi primitivi sogna di portarsi alla bocca gli indumenti per leccare ogni granello di macaron vi sia rimasto intrappolato.

Body shaming is for losers – 7 luglio

Today is sparkling!

L’estate non mente. Gli abiti si fanno leggeri e poi svaniscono. Ciò che il freddo proteggeva, la canicola getta in pasto agli occhi altrui. Ho sempre temuto l’estate per la sua onestà. Da adolescente ero abituata a raggomitolarmi dentro maglioni oversize per un senso del pudore che assomigliava più a un sentirsi in colpa che a un vergognarsi. Forse frutto di un retaggio culturale che serpeggiava nelle nostre cellule con il ridondante nome di peccato originale, quel pudore mi faceva apparire “sbagliata”. Nata con una patologia che ha plasmato il corpo secondo canoni ben lontani da quelli della perfezione estetica e della salute fisica, e che avrebbe certamente deturpato anche la mente se questa non fosse stata più forte del corpo che la incarna, mi punivo per non essere conforme agli ideali di bellezza e armonia che il mio spirito esteta giudicava come incontestabili. Ma il periodo che ha seguito il lockdown, l’inevitabile introspezione mossa dal disagio della pandemia e da una più intima percezione della vanità umana, hanno fomentato il bisogno di chiudere il pudore dentro uno scrigno e di liberarmi da quelle viscide sovrastrutture che ci rendono tutti giudici e vittime al contempo. Così mi mostro per quella che sono, una donna con il seno piccolo e il ventre morbido e generoso. Una donna con l’Atrofia Muscolare Spinale che indossa un bellissimo, frizzante, vivace costume cosparso di paillettes e un paio di shorts minimalisti e di foggia essenziale a cui non è stato attribuito il pesante compito di nascondere il tubicino del catetere vescicale. E mentre penso di urlare al mondo la mia condanna al body shaming, si rafforza il sentore che questa estate non sarà uguale alle altre.

Il respiro di un pesce – 4 luglio

Finita la pioggia — da cui hai cercato riparo —giunge imponente il desiderio di acqua e il solo modo in cui riesci a spiegartelo è quel mistero atavico che la pioggia ti ha aiutato a far riaffiorare. Il senso originario della nostra vita di embrioni-pesce, il ricordo di un rapido e traumatico passaggio da una vita in apnea ad una anfibia e poi, con un salto evolutivo vertiginoso, a quella di mammifero. «Andiamo al lago!» ho proposto, ben consapevole che l’iniziativa avrebbe accolto il favore di tutti. Il fragore della pioggia dei giorni scorsi ha maturato nei miei occhi la voglia dello sciabordio che incanta, della matrice liquida arginata da sponde terrose, del beccheggio silenzioso delle anatre sulla superficie del lago. La giornata era serena e calda, mossa appena da una leggera brezza che scomponeva i capelli raccolti in una coda alla buona, fatta in fretta per non sprecare tempo e uscir di casa al volo. Appena arrivati ho cercato il pontile dove il sole del tardo pomeriggio accecava ancora con caldi riflessi dorati. Tutto era perfetto. Ho respirato senza aver bisogno della NIV. Ho respirato e mi è parso che il mio fosse il respiro di un pesce.