
Oggi voglio parlarvi dell’abilismo. Voglio condurvi per mano in un mondo in cui la discriminazione è spesso sottile, per molti aspetti invisibile. L’abilismo, infatti non è sempre intenzionale e — parafrasando l’aforisma di bosweliana memoria — sovente è lastricato di buone intenzioni.
Tanto per non confondervi le idee… inizio subito col dire che l’abilismo è un cubo di Rubik da risolvere a occhi chiusi, l’equazione di Navier-Stokes, una stanza degli specchi in cui indovinare cosa è reale e cosa invece è semplice riflesso. Il motivo di una tale confusione — che peraltro disorienta pure noi, parte lesa dal modus operandi definito abilismo — è l’essere stato, negli anni, talmente interiorizzato da apparire come un atteggiamento moralmente e socialmente corretto.
Pensate di aver erroneamente appreso, nel corso della vostra vita, che la Terra percorre orbite circolari attorno al Sole, e improvvisamente qualcuno vi fa notare che in verità tali orbite sono ellittiche. All’inizio lo guardereste con aria di sufficienza e poi probabilmente gli chiedereste una dimostrazione. Ecco, l’abilismo è un teorema che va dimostrato — spesso con innumerevoli esempi — perché ad oggi è come la Terra che ruota in cerchio attorno al Sole: un errore colossale.
Chi pensa che l’abilismo abbia a che fare soltanto con le barriere architettoniche è un copernicano 3.0.
Certo, abilismo è garantire l’accessibilità di un edificio senza tuttavia aver conformato l’ascensore alla normativa vigente che prevede tasti in braille, altezza del pulsante d’emergenza adeguata a chi è seduto su una carrozzina e l’emissione di un suono quando si raggiunge il piano desiderato.
Ma abilismo è anche ritenere che una persona con disabilità debba accontentarsi di relazioni sessuali e sentimentali insoddisfacenti e talvolta violente perché non considerata un buon partito. Abilismo è dare per scontato che le persone con disabilità grave possano attrarre unicamente altre persone disabili o disadattate, con la benedizione dell’atavico preconcetto che un individuo “normale” non potrebbe mai sopportare uno stile di vita tanto limitante e costellato di sacrifici.
Abilismo è la pacca sulla spalla e il conseguente ammonimento: «Dai! Pensa a chi sta peggio di te…» quando attraversi un momento difficile e tra i capelli hai nascosto un diavolo che odora di zolfo e carni ustionate.
Abilismo è il cameriere del ristorante che ti riserva un tavolo appartato (che, per carità, da misantropa dichiarata potrebbe certo piacermi) senza prima averti proposto un posto al centro della sala.
Abilismo è un genitore che insiste affinché il/la figlio/a si prodighi in affettati ringraziamenti ogniqualvolta riceve aiuto da qualcuno, perché “se non ti aiutassimo resteresti tutto il giorno a letto.”
Abilismo è quel fine e insidioso pungolare la mia pazienza che giorno dopo giorno, sottoposta a pressione costante e sempre più elevata, gonfia come un rospo delle canne fino ad essere talmente tesa che basta una fibra di cotone a farla esplodere. E a far saltare in aria con me mezzo Canavese.
Abilismo è un soffice giaciglio di bambagia in cui dormire un sonno catartico e lasciare che fuori in strada il mondo viva come se tu non esistessi. È una mela soporifera, un caldo lettuccio in cui dimenticarti.