In questi giorni di riposo forzato a causa di una riacutizzazione dei miei problemi respiratori, ricerco le sensazioni più quiete e rasserenati provate negli anni. Ma ad affiorare per prime sono le emozioni da cardiopalma: quelle dei tramonti respirati sotto un tetto di fronde lussureggianti e piene di vita, con il petto che scoppia di euforia e voluttà. Perché quando giunge l’ora del crepuscolo e dietro il fogliame il cielo avvampa, quel trovarmi in mezzo a un bosco intenta a soppesare i pensieri ricorda la mia vita e i suoi scenari ascosi, sempre camuffati dietro un tramezzo, una quinta, un tetto di foglie. Si distinguono le lunghe ombre della sera sotto la volta che brucia, ma non si riescono a scorgere l’universo e il suo silenzio oltre quel fuoco. Non se ne intravede uno scorcio finché le fiamme non si spengono. Eppure, dietro la pira incandescente su cui il cielo dà il suo commiato al giorno il buio più nero è lì da miliardi di anni. In assoluto silenzio. Un silenzio che non è assenza di suoni bensì impossibilità ad udirli.
Lui non mi ha mai dimenticata. Dopo mesi di lontananza ritorna con la naturalezza di un villeggiante e riprende il discorso da dove lo avevamo interrotto. Io lo accolgo come un ospite, offrendogli la gentilezza che merita, e lo conduco con me nelle mie peregrinazioni mentali. Insieme discutiamo di quel nostro schierarci come bambini sempre dalla parte dei giusti. Discutiamo di quella personale idea di giustizia che ci rende migliori agli occhi dello specchio. Non un inganno, più una svista. Discutiamo del nostro sentirci figli. «A guardar bene» interviene «ci han concepiti vicino a una cloaca. Eppure, fingiamo di essere frutti anziché escrementi.».
Ne perdono l’impertinenza all’istante. Il sole che incendia gli occhi mi concede di sospendere ogni giudizio. Di sentirmi libera dal peso che il valutare ogni parola getta sulle nostre spalle come giberne gonfie di ordigni bellici.
Lui si porta alla bocca una pesca, la odora rigirandola nella mano, la stringe tra le dita e sorride.
Accosciati sopra il buco del culo del mondo, con il bagliore dei tramonti vissuti che trafigge le pupille, continuiamo a discutere se mai esista un centro nell’Universo. Un punto che dia una misura all’infinito.