Di luce e d’ombra – 13 agosto

Sul Monte Tabor, il Colle dell’Infinito

La strada per salire a Recanati s’inerpicava sulla collina, all’ombra delle querce e degli olmi. Via via che lasciavamo dietro di noi la costa assolata, l’abbraccio odoroso del Conero — ginepro rosso, euforbia e gigli selvatici — ci raggiungeva come un commiato. Intorno a noi, soltanto i sovrumani silenzi di leopardiana memoria e un flebile brusio di focolare dietro gli scuri serrati.

Io avevo indosso un abito leggero e sulle spalle il foulard blu notte con i ricami dorati che la sera prima avevi mandato Isabella a comprarmi perché certo che mi sarebbe piaciuto.

Giunti sulla piazza della paese, ad attenderci avevamo trovato lo stesso silenzio che ovattava i portoni, le imposte e perfino gli usci delle osterie. In una di queste siamo entrati (tenendoci la mano, forse, non ricordo) e abbiamo preso posto al tavolo, un pesante fratino in noce con delle sgrossature che ne rendevano la superficie rasposa.

Fuori s’intravedevano le ombre degli alberi mossi dal leggero vento che lì, a quelle altitudini ombrose, sferzava il collo e in un batter di ciglia faceva rabbrividire. «Forse sono gli spiriti cari al Poeta che quassù non vogliono visitatori…» ti era uscito di bocca, quasi a leggere il mio pensiero. La mente era prontamente accorsa ai versi che conoscevo a memoria e con la stessa rapidità era tornata sui volti dei presenti. Su quello di Isabella, talmente armonioso e perfetto da togliere il fiato e su quello di mamma Eliana che ci seguiva ovunque con occhi di civetta, occhi di chi quei luoghi li conosce fin nei minimi dettagli per averli custoditi nel cuore, anno dopo anno, in silenzio. E in ogni volto vi era un lato in ombra, uno luogo nascosto alla luce che ne faceva risaltare le movenze, la sinuosità dei lineamenti.

Il pensiero dell’ombra ci aveva appena sfiorati, ma con il tempo sarebbe tornato a farci visita. Mi ero accorta che l’ombra non sprofondava nel buio perché a reggerla vi era il lato rivolto alla luce. L’uno non poteva esistere senza l’altro.

Dalla tua morte, penso spesso a quei volti e al segreto che ci avevano rivelato: l’ombra non si trasforma in tenebra se a sorreggerla vi è la luce.

Ora tu e io siamo le due facce di una stessa medaglia, una ravvivata dal sole, l’altra rimessa alla penombra. Certo, non darei per scontato di essere io quella in luce.