Febbre – 10 settembre

Ancora febbre. Certo, in questo momento storico non è rassicurante avere ancora qualche linea di febbre dopo due giorni di antibiotico… Tuttavia, chi come me convive con la SMA — e chi, con un catetere vescicale — sa che spesso dobbiamo armarci di infinita pazienza e attendere. Aspettare che corpo e mente guariscano all’unisono. Soprattutto chi, come me ha una mente molotov. Un ordigno esplosivo pronto a deflagrare ad ogni minimo sobbalzo.

Non ho mai potuto addestrare il corpo — o almeno non come avrei voluto — a schivare le malattie come un giocatore impara a fare con i proiettili durante una partita a paintball. E non sono mai riuscita ad ammansire la mente per non farla esplodere. Il fuoco che divampa dagli alluci alle doppie punte dei capelli infiamma le carni e innesca l’ordigno nascosto sotto la corteccia e incagliato dentro il sistema limbico, neurone su neurone.
Prima o poi, il corpo si ammala e la mente conflagra.


Perciò, se alcuni di voi ancora pensano che io sia una persona mite, si ravvedano: io sono una bomba in mano a un bambino, un nucleo di uranio pronto alla fissione, una centrifuga piena di nitroglicerina. Sono l’onda d’urto che sventra le case e brucia tutto ciò che incontra sul suo cammino, uno tsunami che rade al suolo chilometri di terraferma, un cannibale avido di cristalleria, infissi, tegole, piastrelle…

Ma ci sono mani in grado di placarmi. Quelle che mi stringono in un abbraccio, ad esempio, quelle che seguono il profilo del mio viso come un in rito apotropaico, e quelle che appena chiedo loro una musica capace di distrarmi cercano i tasti del pianoforte.

Stasera le mani sono le stesse di ieri, le mie emozioni anche — forse meno distruttive — ma il pianoforte non è il mio. Per rispetto delle norme sanitarie vigenti e per quelle più intime legate al groviglio di precauzioni che da sempre devo adottare, questa sera talune corde non possono che essere fatte vibrare a distanza.

Corde – 9 settembre

Ci sono mani che han toccato corde profondissime ma poi han scelto la tranquillità radiosa della superficie. E poi ci sono mani che han penetrato l’epidermide e si sono spinte fin dentro il cuore: dita che sono entrate dentro atrii e ventricoli facendosi strada nel sangue, intingendosi in quel rosso porpora di antica e regale memoria, lacerando le carni senza fare male. 

«Due addii in un mese sono troppi per me». Ancora una volta, bellezza e dolore confliggono tra gli occhi e il costato: «Due addii sono troppi per il mio cuore e quel suo destino da puttana».

Ma ci sono mani che sferzano, scuotono, comprimono corde profondissime e il loro è un voler porre l’accento sul fatto che, sì, conoscono il mio cuore e il meretricio che grava tra i ventricoli e gli affetti, e non intendono alimentare l’omertà che gli è ramificata attorno.

In serate come, queste cariche di mestizia, le sole corde che voglio ricordare sono queste, pregnanti, immortali, stonate. Mie.