I moti ondosi – 17 luglio

La vista di un prato sconfinato ha da sempre mosso emozioni profondissime. Emozioni incagliate tra lo stomaco e la gola in attesa di un evento che le liberi. Gioia, euforia, gratitudine sono ordigni pronti a esplodere. Capita, allora, che farli brillare sia al contempo liberatorio e fastidioso. Succede che la troppa gioia, mista alle sorelle cariche di esplosivo, nel risalire dalle viscere alla gola mi provochino la nausea. Quasi fossero materiali, concreti e io ne sentissi la grandezza gonfiarmi il petto e poi raschiarmi l’ugola nel tentativo di uscire.

Ma forse è la sola spiegazione fantasiosa che riesco ad attribuire all’attenuazione dei freni inibitori che l’èrompere di queste emozioni provoca. Il non sentirmi più malata, né avvertire più l’urgenza di prendere precauzioni.

La vista di un prato sconfinato è un richiamo a lasciarmi andare, a correre sull’erba caracollando sulle ruote che tra una buca e un avvallamento riflettono sul mio collo il rollio di un natante in balia dei marosi. Se la razionalità prendesse il sopravvento, mi fermerei in mezzo al prato e con una rapida imbardata svolterei in direzione della strada asfaltata. Ma la ragione è un mare dalla superficie piatta che non può competere con la potenza delle correnti marine profonde. Il mio collo viene scosso, sbattuto avanti, indietro, strattonato a destra e a manca finché non arriva la nausea a risvegliare il desiderio di terraferma. Allora, trattenendo gli spasmi dello stomaco, mi guardo intorno con una sorta di vergogna colposa e, lentamente, torno sulla strada asfaltata. Felice.