Crimini – 25 novembre

Nello studio arredato con il ciarpame recuperato dal vecchio ospedale, una luce bianca filtra dai vetri della grande finestra e si fonde con quella più fredda del neon appeso al soffitto, sulle nostre teste. Gli studi medici sotto il controllo delle Aziende Sanitarie Locali sono sempre tristemente cupi pur se rischiarati da forti luci che mettono a disagio poiché paiono voler scoprire ogni lembo di pelle e di mente coperti invano.

«Scusa il disordine e il luogo… » si affretta a dire, avvicinando la sedia color piombo alla scrivania della stessa tonalità anonima e gelida «avevo voglia di vederti ma ho poco tempo libero in questi giorni».

«Non importa, ho visto i pazienti in sala d’attesa» lo rassicuro.

Due colpi sordi alla porta mi fanno trasalire.

«Scusate… ho le mani impegnate…» si giustifica la giovane donna che passa le giornate nello stambugio dell’Accettazione e accoglie ogni paziente con la stessa freddezza e imperturbabilità: depressi, schizofrenici, ossessivo-compulsivi, potenziali suicidi o assassini. Intuisco che ha bussato con il piede e si è aperta la porta facendo leva sulla maniglia con il gomito. Posa i due bicchieri di plastica su una pila di libri sopra la scrivania anonima e si congeda con un sorriso.

«Purtroppo posso offrirti solo un tè del distributore automatico… con tanto, tanto zucchero, vero?» chiede mentre toglie il cucchiaino di plastica dalla bevanda per gettarlo in un cesto pieno dì cartacce. «È ancora caldo, ti conviene aspettare!» mi esorta facendomi sorridere per le premure che ha sempre avuto verso di me.

«Va bene, dottore» gli rispondo con il tono malizioso che a lui piace udire «ma ora spiegami perché hai voluto vedermi così in fretta, tanto ci saremmo visti nel weekend.. »

Mi fissa dritta negli occhi. Improvvisamente sono più nuda di quando sono entrata nello studio troppo illuminato. «Perché voglio che lo lasci. Voglio che te ne vada il più lontano possibile. Non ho trascorso insieme a te intere nottate a studiare psicopatologia per vederti dare alle fiamme quelle nozioni di cui eri avida!»

Non distoglie lo sguardo dai miei occhi: «Tania, lo sai benissimo: la tua disabilità fisica, l’immobilità ti rendono una facile preda agli occhi di un sadico pezzo di merda che pensa tu non possa difenderti». La sua voce si è fatta dura come una lama d’acciaio. A parlarmi ora non so più se sia l’amico di una vita o lo psichiatra che rivolge lo stesso sguardo affilato ai pazienti più impegnativi del Centro di Igiene Mentale. E così inizio a piangere, non perché in quel momento io mi senta una di loro, ma perché il ricordo dell’odore di quelle pagine lette insieme, afrore di vecchiume e di mani incensurate di studenti che le hanno sfogliate lasciando orme di unto e scarabocchi sudaticci, è ancora vivido e pare entrare in quell’istante dalle narici.

«Vieni qualche giorno da me oppure torna dai tuoi genitori ma vai via da quella casa.» Mi abbraccia prima di finire la frase. Io continuo a piangere, ho bisogno di liberare il dolore e la via più rapida che ho trovato è il pianto.

“La disabilità sdogana i peggiori crimini.” risuona nella mia mente. Lo so — ad essere onesta l’ho sempre saputo — eppure avevo finto di dimenticarmene.

Distesa su un letto non ho più alcuna forza, se non quella che mi giunge dalle profondità insondabili della mia indole appassionata e indomita. La sola forza che ho è la capacità di distinguere e di ricordare le sfumature di ogni evento e, forse, di tradurle in parole una volta decantate nella memoria. Per il resto, sono un facile bersaglio, una statua vigile e cosciente sulla quale chiunque può scatenare la propria rabbia o i propri desideri. Quale dei due sia il peggiore non l’ho mai capito.

Questo articolo lo dedico alle donne, in questa giornata che ci vede unite contro la violenza perpetrata contro di noi da sadici pezzi di merda (come direbbe l’amico di cui ho scritto), affinché si venga a conoscenza che vi è una categoria di donne — quella alla quale io appartengo — che dall’alba dei tempi ha sempre visto legittimato e in molti casi ritenuto legittimo ogni genere di abuso subito.