
Sovente nel raccontare di me e della mia vita indipendente dimentico di essere cresciuta con una malattia neuromuscolare e di non essermene mai affrancata in tutti questi anni.
Certo, l’Amiotrofia Spinale è parte di me, tuttavia non l’ho mai vista come un’appendice, né tantomeno come l’integrazione tra corpo e morbo. No, non è mai stata me. L’ho sempre vista più come un alter ego, anziché come l’ideale gemello siamese a cui sono unita dalla nascita. Uno sdoppiamento.
Perché c‘è una Tania malata e c’è una Tania che dimentica di esserlo. Quest’ultima vive da sola, aiutata da un’assistente personale; progetta, si arrabatta per sbarcare il lunario, scrive per passione e per pagare le spese condominiali, viaggia per sentirsi libera e si getta a capofitto nella fiumana per diletto e per curiosità. L’altra, quella con il gene mutato, trascorre settimane chiusa in casa per guarire da un’infezione respiratoria, usa una macchina per tossire e un’altra per la ginnastica respiratoria; perde peso ad ogni influenza e sa che la vita non è mai un percorso dato per scontato e che tutto può cambiare con la stessa rapidità di uno sbattere di ciglia. A seconda delle circostanze, una è dominante, l’altra recessiva.
C’è un momento in cui le due s’incontrano. Una frazione di secondo. E non se ne accorgono. Credo succeda perché sono l’una l’immagine speculare dell’altra e quando si osservano, ciascuna crede di vedere se stessa. Per poter conservare memoria dell’altra devono, in qualche modo, opporsi. Pur esistendo contemporaneamente, seguendosi alla stregua di un’ombra. Ci sono momenti, quindi, in cui mi ricordo di avere una compagna di viaggio simbiotica, ma preferisco pensare ad accordi più edificanti: alla pupilla che racchiusa nell’iride dà le giuste sfumature allo sguardo, allo stillicidio della pioggia sul prato; al mio cuore e al mio cervello che si contendono una scelta; alle ciliegie succose dentro un canestro arido di rami di vimine, all’armonia tra la pazzia e la creatività; alle ore della noia ciascuna uguale alle altre, alle mani congiunte…
Mi sovviene allora che alle mie deboli mani son solita attribuire in buona parte la ragione della mia felicità: quando reggo tra le mani una tazza di tè fumante, quando avverto sotto i palmi la barba ispida di Massi, ogniqualvolta le dita scivolano sul ventre soffice della gatta, quando sfogliano le pagine di un libro, quando dipingono il viso; finanche quando si riscaldano dentro le robuste mani di altri o quando i polpastrelli scivolano con leggerezza di piuma su un volto amato.
Qualsiasi felicità è un capolavoro: il minimo errore la falsa, la minima esitazione la incrina, la minima grossolanità la deturpa, la minima insulsaggine la degrada. (Memorie di Adriano, Marguerite Yourcenar)