En e Xanax – 7 novembre

“En e Xanax non si conoscevano prima di un comune attacco di panico e subito
Filarono all’unisono
Lei la figlia di una americana trapiantata a Roma e lui
Un figlio di puttana…”

Devo ammettere che è realmente una prova difficilissima quella che siamo chiamati ad affrontare: una vita senza abbracci, incontri, mani nelle mani… Mi sono accorta che anche la mia misantropia ha un limite! Infatti non tollero più questa solitudine forzata, le distanze fisiche, i metri quadrati in cui mi sono reclusa per proteggermi (considerando che sono comunque stata esposta al rischio di ammalarmi visto che ho convissuto otto giorni con un’assistente positiva al COVID).
Cercare di sorridere è la sola arma che sento veramente in mio possesso. Anche un sorriso forzato, metà smorfia e metà sfregio, purché sia un sorriso.

Il nòcciolo del sole – 3 settembre

L’arrivo dell’autunno a queste latitudini giunge in anticipo. L’aria si fa frizzante, sferza la pelle nuda, fa desiderare il sole.

Eppure è appena iniziato settembre, le scuole sono ancora chiuse — in quest’anno di incertezze politiche e di misure sanitarie estreme pare quasi una leggerezza che lo restino solo fino a metà mese. Le finestre durante il giorno rimangono ancora spalancate. Tuttavia, un sentore di cambiamento striscia in mezzo all’erba alta con furtività di rettile. È un continuo frusciare di squame contro gli steli; sul terriccio umido s’intravedono impronte di serpe e un linguaggio primitivo sfiora l’orecchio, sibila il proprio Sapere con piglio di saggio ma acredine di vipera: «La bella stagione sta morendo…».

Subito il pensiero cade, pesante come piombo, sul significato che questo ha per me. Vivere con una grave insufficienza respiratoria porta inevitabilmente ad attribuire al finire dell’estate un significato più esteso, sebbene non necessariamente più pregnante di quello attribuito da altri.

È giunto il momento, infatti, di congedarsi dagli abiti leggeri, indossandoli un’ultima volta per salutarli come in un rito in cui chiudere simbolicamente un cerchio.

È tempo di riscoprire il piacere di una tazza di tè fumante tra le mani e di quei piccoli sorsi che arroventano il palato e conducono il nòcciolo solare fin dentro le viscere. Così il fuoco può tornare a esercitare il proprio dominio sulla stagione che va raffreddandosi. Nella tazza con l’infuso ambrato è contenuta tutta la potenza primigenia della nostra galassia.

Arriveranno mesi bui, giornate corte come i titoli di coda delle reti televisive pubbliche. Arriveranno le notti compresse dentro stanze troppo strette, i volti di galaverna appiccicati al vetro per potersi sciogliere al sole. E forse arriveranno le febbri e i respiri affannosi.

Arriveranno, è più che probabile. Ma ora sto reggendo il nucleo del sole tra le mani e sento di poter far fiorire i ciliegi a settembre e far ricominciare l’estate un attimo dopo.

Ora mi tengo stretto quel presente che troppe volte ho sottovalutato e guardo al futuro con gli occhi di chi sta bevendo il sole, sorso dopo sorso.