
“Cari lettori — distratti, detrattori, menefreghisti, o qualunquisti — a scrivere questa cornice è una donna con insufficienza respiratoria grave da più di un trentennio, e che nell’ultimo anno si è dovuta abituare all’invadenza claustrofobica della ventilazione assistita (lo so, claustrofobico non è un aggettivo che si addice al sostantivo “ventilazione”, ma vi assicuro che avere 24 ore al giorno una mascherina sul viso può essere fastidioso anche se questa spinge aria dentro le cavità nasali giù fino ai polmoni). Una donna che quando legge di danni permanenti all’apparato respiratorio, seppur su un articolo che gira in rete e tra i notiziari televisivi, inizia ad avvertire come un senso di soffocamento. Tranquilli, è solo panico. Tuttavia, ben sapendo ciò che si prova in taluni frangenti, non riesce a trattenere una certa preoccupazione non per sé — che i danni permanenti li ha già ricevuti in dono dalla patologia neuromuscolare da cui è affetta, bensì per voi. Voi, che pontificate sull’inutilità delle mascherine, voi che vi sentite intoccabili, che guardate con quell’empatia da avvoltoio coloro a cui la vita ha già offerto alla nascita, attaccata al cordone ombelicale, una mascherina con annesso respiratore e ai quali, sospinti da un’arcigna e illusoria sete di onestà intellettuale siete soliti ribadire: «É giusto che le mascherine le indossiate voi che siete più deboli, ma non noi perché a noi non servono!». Voi, che fino all’altro ieri mi camminavate accanto come a percorrere un sentiero di crescita comune e oggi mi mettereste un tenace bavaglio sulla bocca. Voi, che da oggi il rigido girone della prevenzione non riguarda più, sappiate che dal suo interno — dalle sue viscere avviluppate in molteplici anse e zone buie — qualcuno ha un pensiero per voi. Di quale natura esso sia é storia da raccontare altrove.”