L’abilismo vol. 2 – 7 agosto

No, questo non è un comune articolo sull’abilismo — che peraltro io stessa fatico a inquadrare e a circoscrivere entro un significato nitido, senza sbavature.

È una confessione, un bisbiglio che via via si fa voce sicura e fiera. Un parlare sommesso che prende velocità dalla fronte e raggiunge il suo picco sulle linee morbide delle labbra.

Non sono nata con un bel naso — nemmeno con un seno prosperoso, se devo essere onesta — e non sono nemmeno nata forte e determinata. Ho imparato dalla fragilità a farmi strada nella vita, a non abbassare lo sguardo di fronte ai passanti in strada, a esporre le mie ragioni senza avvampare in volto. Ho certamente appreso di essere forte il giorno in cui ho visto nella mia debolezza un punto di forza. Allora, ho finalmente compreso a dare il giusto peso alle convinzioni altrui, a non esserne intimorita. A non sentirmi un pulcino indifeso, ancora invischiato nell’albume, un attimo dopo la schiusa.

Ho accettato di non avere un bel naso. Tuttavia, questo non si è tradotto nel paternalistico “piacersi per ciò che si è”. Ho accettato di non avere un bel naso e di volerlo modificare. La medicina estetica non è mai stata un tabù ai miei occhi, qualcosa da biasimare o peggio da nascondere.

Eppure, prima di conoscere Luca Cravero*, innumerevoli, dotti specialisti alla mia richiesta tentavano in modo maldestro e infelice di dissuadermi. Una lunga sequenza di: «Con i problemi che ha Lei, non vada a prendersene altri!» ancora riecheggia tra le mie sinapsi, ammutolendo ogni altra voce. Tagliandole l’ugola per impedirle di esprimersi. Certo, qualunque altra voce con la facoltà di dire la sua, avrebbe replicato con un volgare benché eloquente gergo di strada, ma appunto quelle affermazioni così ingenue e stupide recidevano le corde vocali come la lama di una sciabola.

Una bella dose di abilismo trasuda dal suddetto pensiero. Ed è più pruriginosa di una carezza sulla testa, più avvilente di un clown in un reparto ospedaliero per adulti, più ingenua di un cantastorie che, con una mano sulla chitarra e una sul cuore, continua a raccontarsela e a credere che la propria musica allieti l’anima altrui anziché la propria.

I moralisti, i feticisti del politicamente corretto si fermino qui. Non leggano oltre.

Perché oggi voglio mostrare, nel mio piccolo, che le loro innocenti certezze abiliste vanno prese, con il massimo rispetto, per ciò che sono: carta da toilette da gettare nel wc dopo l’uso. E con orgoglio intendo confidare che oltre al naso — ritoccato già tre anni fa — oggi ho voluto rivedere anche il profilo delle labbra.

Sì, ho una grave patologia neuromuscolare, un catetere vescicale a permanenza, utilizzo un respiratore praticamente ventiquattro ore al giorno, e ho il naso rifatto e le labbra rimpolpate. E, naturalmente, un bel po’ di carta da toilette da gettar via (dopo averla usata, s’intende).

https://lucacravero.it/

L’abilismo – 12 agosto

Oggi voglio parlarvi dell’abilismo. Voglio condurvi per mano in un mondo in cui la discriminazione è spesso sottile, per molti aspetti invisibile. L’abilismo, infatti non è sempre intenzionale e — parafrasando l’aforisma di bosweliana memoria — sovente è lastricato di buone intenzioni.

Tanto per non confondervi le idee… inizio subito col dire che l’abilismo è un cubo di Rubik da risolvere a occhi chiusi, l’equazione di Navier-Stokes, una stanza degli specchi in cui indovinare cosa è reale e cosa invece è semplice riflesso. Il motivo di una tale confusione — che peraltro disorienta pure noi, parte lesa dal modus operandi definito abilismo — è l’essere stato, negli anni, talmente interiorizzato da apparire come un atteggiamento moralmente e socialmente corretto.

Pensate di aver erroneamente appreso, nel corso della vostra vita, che la Terra percorre orbite circolari attorno al Sole, e improvvisamente qualcuno vi fa notare che in verità tali orbite sono ellittiche. All’inizio lo guardereste con aria di sufficienza e poi probabilmente gli chiedereste una dimostrazione. Ecco, l’abilismo è un teorema che va dimostrato — spesso con innumerevoli esempi — perché ad oggi è come la Terra che ruota in cerchio attorno al Sole: un errore colossale.

Chi pensa che l’abilismo abbia a che fare soltanto con le barriere architettoniche è un copernicano 3.0.

Certo, abilismo è garantire l’accessibilità di un edificio senza tuttavia aver conformato l’ascensore alla normativa vigente che prevede tasti in braille, altezza del pulsante d’emergenza adeguata a chi è seduto su una carrozzina e l’emissione di un suono quando si raggiunge il piano desiderato.

Ma abilismo è anche ritenere che una persona con disabilità debba accontentarsi di relazioni sessuali e sentimentali insoddisfacenti e talvolta violente perché non considerata un buon partito. Abilismo è dare per scontato che le persone con disabilità grave possano attrarre unicamente altre persone disabili o disadattate, con la benedizione dell’atavico preconcetto che un individuo “normale” non potrebbe mai sopportare uno stile di vita tanto limitante e costellato di sacrifici.

Abilismo è la pacca sulla spalla e il conseguente ammonimento: «Dai! Pensa a chi sta peggio di te…» quando attraversi un momento difficile e tra i capelli hai nascosto un diavolo che odora di zolfo e carni ustionate.

Abilismo è il cameriere del ristorante che ti riserva un tavolo appartato (che, per carità, da misantropa dichiarata potrebbe certo piacermi) senza prima averti proposto un posto al centro della sala.

Abilismo è un genitore che insiste affinché il/la figlio/a si prodighi in affettati ringraziamenti ogniqualvolta riceve aiuto da qualcuno, perché “se non ti aiutassimo resteresti tutto il giorno a letto.”

Abilismo è quel fine e insidioso pungolare la mia pazienza che giorno dopo giorno, sottoposta a pressione costante e sempre più elevata, gonfia come un rospo delle canne fino ad essere talmente tesa che basta una fibra di cotone a farla esplodere. E a far saltare in aria con me mezzo Canavese.

Abilismo è un soffice giaciglio di bambagia in cui dormire un sonno catartico e lasciare che fuori in strada il mondo viva come se tu non esistessi. È una mela soporifera, un caldo lettuccio in cui dimenticarti.